L’Elefante. Autore: Auguste.

Feto_elefanteQuando si risolse finalmente a distogliere lo sguardo dalla notte e strisciò deciso il mozzicone di un’altra sigaretta sul davanzale, lasciandone tracce grigio nere di agonia, quasi non si stupì nel vederla sdraiata sul suo letto, con uno sguardo attento e le unghie tra i denti. Si limitò a riflettere: Devo aver esagerato col vino, o forse è lei che ha esagerato col vino. E sbadigliò ostentatamente. “Sei tornata” disse. Lei rispose di si con gli occhi. “Bevi?” Andò a prendere la bottiglia di vino, un vino rosso spagnolo, e due bicchieri. “Allora sei tornata sul serio” mormorò versando il vino “non sto mica sognando, se sognassi starei versando qualcosa di meglio che questo vino acido!” Il silenzio regnò per i minuti successivi.

Si guardavano, erano sguardi troppo pieni di significati, sguardi tesi che costringevano l’altro, a turno, a ripararsi dietro un movimento inventato, uno sbadiglio, la ricerca di qualche oggetto inesistente, il ruotare immotivato del capo a destra e poi a sinistra. Intanto sorseggiavano il vino scuro, lui mezzo bicchiere alla volta, lei a sorsi minimi, come per conservare la garanzia della realtà di quel momento il più a lungo possibile: Del resto pensava lei anche se non è un bel momento, noi siamo qui, siamo qui tutti e due, quasi ci tocchiamo e se volessimo di colpo potremmo abbracciarci e lasciare tutto alle spalle, riprenderci i nostri sogni e ridere, dimenticare questo vino e uscire e passeggiare. Quanto può durare un momento? Facciamo che duri tanto, lasciamolo continuare, poi si vedrà. Non pensava tanto diversamente lui, che preparò una sigaretta spandendo molto tabacco e infischiandosene.

imagesMa già sapeva che avrebbe presto provato una sensazione di soffocamento, che si sarebbe sentito costretto a compiere un azione o un gesto, anche minimo, che avrebbe cambiato il senso di tutto, in meglio o in peggio. Sapeva già che era lui ad avere la responsabilità, e, ne era certo, l’avrebbe esercitata con sciocca autorità e con la mente intasata di questioni irrisolte. Per questo se ne infischiava, del tabacco caduto, come della macchia di vino rosso sul tappeto beige, una macchia che prese curiosamente la forma di un elefante: Un elefante rosso pensò, ma restò un pensiero dissociato, estemporaneo, è quindi difficile capire la ragione per cui si lasciò andare ad una sommessa risata.

Lei approfittò subito di quel gesto che aveva ingenuamente interpretato come un’apertura, il principio di un avvicinamento: “sei contento che sia venuta?” chiese e la sua voce fu come un’esplosione e tutta la stanza sembrò vibrare, sembrò così ad entrambi, e si guardarono interrogandosi a vicenda: un terremoto? una bomba? l’inizio della fine del mondo? Nessuno dei due però rispose, solo lui si alzò e si risedette vicino a lei, sul suo letto, e tremò molto prima di baciarla, e ancora di più mentre la baciava con gli occhi chiusi e senza appoggiare neanche una mano a una sua spalla, senza prenderle la nuca o accarezzarle i capelli, tenendo insomma entrambe le mani appoggiate saldamente al materasso: ancora in bilico pensò.

Fu un bacio molto lungo, nessuno voleva affrontarne la fine: così tennero gli occhi ben chiusi e le lacrime di lei ci misero un po’ a farsi strada tra le palpebre e bagnare le labbra di lui.

elefante-invadente1Se è vero che le azioni degli uomini sono inspiegabili, il più delle volte decisamente sciocche, spiegare i loro pensieri, la contingenza dei loro pensieri, è una di quelle imprese tanto disperate da apparire comiche. Perché lui pensava a un elefante di vino rosso? Perché, lei, pensava a quanto stupido è l’amore degli uomini, a quanto è bello e brutto piangere d’amore, al suo sangue che ribolliva sapendo che ancora qualcosa rimaneva saldamente intatto, inespugnabile: e questi erano i pensieri di una donna. L’elefante di lui era immenso, era la bestia più grossa che poteva riuscire a immaginarsi, e non c’era niente di divertente in questa immagine infissa nel suo cranio.

Di colpo si sentì forte: di colpo sentì che aveva il potere di distruggere qualsiasi cosa, di dissolverla con un solo sguardo, e sapeva che questo potere altro non era che il gigantesco elefante rosso di vino sul tappeto che si ampliava nella sua mente mangiandone tutta la materia, dissolvendo pensieri, sensazioni, sentimenti e creando il più assoluto caos: un inferno in potenza.

Cosa diavolo dovrei fare? Si chiese, prima di porre fine a quell’ultimo bacio.

Passò tutto il resto della sua lunga vita a maledire l’istante in cui smise di sfiorarle le labbra con le labbra e riuscì a sussurrarle di andarsene, di non farsi più vedere. 

 

7 risposte a “L’Elefante. Autore: Auguste.

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  2. …comunque rileggendolo devo dire che toglierei volentieri un po’ di “vino” dal primo paragrafo… considerando anche che non era buono…

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